E’ stato davvero emozionante oggi, tantissimi cittadini attivi che prendono la parola, che alzono la testa.
Ora non ci fermeranno tanto facilmente.
C’è qui una riflessione di Maria Clara stupenda che riporto dal suo blog
Succede che una domenica mattina col tempo un po’ velato a Torre del Greco arriva Beppe Grillo.
Succede che io vado a sentire che dice.
Succede che il giorno prima ho visto un film non proprio eccezionale, ma la gente lo osanna lo stesso.
Succede che ultimamente quasi tutti i film che vedo sono non proprio eccezionali, eppure la gente li osanna lo stesso.
Che c’entra con Beppe Grillo? Niente. Ma quando vedo un film di merda divento poco tollerante.
Per questo motivo, quando nella folla la signora vestita a festa, che neanche si è sognata di ascoltare quello che viene detto da un gruppo di ragazzi giovani, onesti ed istruiti (che ultimamente non è cosa comune), pronuncia parole come “Andate a lavorare!”, a me un po’ mi girano le cosiddette!
Nota del Blogger: Incomincio ad avre l’impressione che le persone che continuano a gridarci dietro questa frase siano gelosi, invidiosi della nostra felicità, libertà e serenità.
Le avrei voluto rispondere: “Signora bella, domani mattina io vengo a lavorare a casa sua. Strappo la mia laurea in lingue, la mia specializzazione, il mio master e le vengo a lucidare i lampadari. Che ne dice?”
Ebbene si, perché una come me, che ha deciso che facoltà come ingegneria ed economia non faceva per lei, ora paga a caro prezzo la sua scelta. Un prezzo che non viene né capito né giustificato.
Viviamo in un paese in cui la cultura è niente e chi vuole fare cultura non può certo pretendere che sia considerato un lavoratore. Lavorare significa produrre. Quindi, o fai rientrare la cultura in sistemi produttivi o gentilmente ti levi dalle palle e te ne vai a lavorare.
Ma lavorare dove? non possiamo essere mica tutti manager e ingegneri?
Non lo so, non mi interessa, io mi guardo io mio, tu faresti bene a guardarti il tuo. La prossima volta ci pensi prima.
Ed ecco quello che ci dicono continuamente. Ecco quello che la generazione dei miei genitori ha creato.
Quella generazione che ha fatto il ‘68 e che ne è rimasta talmente delusa da essersi chiusa in quello spazio piccolo piccolo attorno a loro, fatto di piccola e a volte anche onesta sopravvivenza. E si sono impegnati ad insegnare la stessa cosa ai propri figli. Noi.
“Guardati ‘o tuoio”, dice continuamente mio padre, “che se tu nun piense a ‘tte chi vuò che ce pensa?”…guardati il tuo…pensa a te…
Ma con tutto il cuore, papà, ma questo MIO a cui dovrei stare attenta, ma arò sta?
Il cerchio stretto stretto intorno a te, che tu con tanta fatica ti sei creato, diventa sempre più stretto. E io non ci sto più. Strabordo da ogni parte e tu non mi puoi più trattenere.
Io non posso guardarmi il mio, perché di mio non c’è un bel niente.
è necessario uscire fuori dal seminato e rischiare di morire di fame. Solo così diamo una speranza a noi stessi.
Io non sono ingegnere ma la scelta mia di non esserlo la difenderò con le unghie e con i denti perché è una scelta coraggiosa. è una scelta che sopporta la derisione, l’arroganza e la mancanza di rispetto più totale.
è una scelta che non è scesa a patti e che mi dà la possibilità di guardare in faccia il camorrista di turno con occhiali Prada, panzone e collana d’oro in bella vista, che guarda con disprezzo e fastidio gli spettatori di Grillo e di pensare di me stessa: “io non farò mai schifo come questo qua!”
Io voglio solo riappropriarmi di quello che mi spetta: di un lavoro che non mi faccia sentire un robot nelle mani di chi mi sfrutta per produrre una privazione, che dovrò colmare col mio stesso lavoro, il quale creerà a sua volta privazione; di un po’ di tempo per pensare senza sentirmi in colpa per questo; di un’istruzione che non sia vittima di alcuna legge economica; di un buon libro, un bel film e uno spettacolo a teatro, e uno stipendio che me li possa far permettere; un po’ di rispetto verso la mia persona e un po’ di dignità da insegnare ai miei figli; la possibilità di poter conoscere la verità, anche quando le cose vanno male; e l’opportunità di poter SOGNARE, soprattutto quella. Sognare che le cose possano essere diverse da come sono. Sognare che posso essere io a cominciare ad essere diversa, a fare cose diverse da quelle che mi hanno insegnato, perché non è detto che chi ha più esperienza ci insegni solo cose giuste.
Io solo a me non ci penso, perché io sono diversa. Io non sono uguale a voi. Io sono altro.
Esco fuori dal cerchio, papà, che qua è mal’aria, mal’aria assai.
Le proposte del MoVimento per l’istruzione
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