L’attuale legislazione prevede che il credito di imposta possa essere chiesto dalle imprese di produzione cinematografica per un importo pari al 15 per cento del costo complessivo della produzione e fino all’ammontare massimo di 3 milioni 500 mila euro per periodo di imposta. Nel caso di produzioni associate, il credito di imposta spetta a ciascun produttore associato, in relazione alle spese di produzione direttamente sostenute in proporzione alla quota di effettiva partecipazione.
Sono beneficiari del credito di imposta i film di nazionalità italiana e i film riconosciuti di interesse culturale dalla Commissione per la cinematografia. Nell’ambito di questi ultimi, la stessa Commissione può attribuire l’ulteriore qualifica di «film difficile» ai fini di un innalzamento della soglia di aiuti pubblici e, quindi, anche dell’entità del beneficio fiscale.
Il credito d’imposta spetta anche ai film o parti di film stranieri nel caso di realizzazione sul territorio, con valorizzazione del territorio stesso ed evitando ambientazioni artificiali. Destinatarie sono imprese di produzione esecutiva ed industrie tecniche.
Questa è, in sintesi, la disciplina del tax credit attualmente vigente in Italia. Si tratta di uno strumento che si è rivelato, sin da subito, assolutamente imprescindibile per le sorti del cinema in Italia, in primo luogo perché interviene su un piano di incentivazione virtuosa dell’investimento nel settore, creando meccanismi di sana impresa cinematografica; e in secondo luogo, perché è una sorta di patto avvenuto tra i produttori ed il Governo.
I primi si impegnavano, infatti, a tollerare una graduale diminuzione dei fondi provenienti dal FUS e lo Stato, in cambio, apriva in modo netto ed univoco all’introduzione del tax credit, intervenendo proprio sui nodi che presentano maggiore criticità, ovvero l’attrazione di investimenti stranieri, la creazione di posti di lavoro e il meccanismo premiale della qualità, è ad oggi l’unico mezzo con cui fare cinema.
Il Governo, oggi, rimangiandosi la parola, vuole dimezzare il limite massimo di spesa per l’anno 2014, abbassandolo da 90 milioni di euro stanziati nel 2012 a 45 milioni di euro. Il provvedimento all’esame, infatti, all’articolo 11, estende al periodo di imposta 2014 i crediti di imposta per la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico previsti dall’articolo 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 337, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nel limite massimo di spesa di 45 milioni di euro. I meccanismi di incentivazione fiscale a favore degli investimenti nel settore cinematografico, introdotti dalla legge finanziaria per il 2008, sono stati prorogati a partire dal 1o gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 dall’articolo 2, comma 4, del decreto-legge n. 225 del 2010. Nella succitata disposizione, tuttavia, la disciplina dell’agevolazione è stata modificata, come ho detto, al fine di introdurre un limite massimo di spesa di 45 milioni di euro, dunque l’agevolazione è decurtata del 50 per cento rispetto a quella prevista per il 2013. Un provvedimento del genere avrebbe come effetto immediato quello di mettere a rischio licenziamento almeno 2.500 lavoratori del settore e, a cascata, una compressione drammatica degli investimenti in un settore già di per sé asfittico ed alla continua ricerca di risorse economiche.
Ci troviamo, dunque, oggi, a discutere se assestare o meno un colpo mortale al cinema italiano: mantenere, si badi bene, mantenere non accrescere, mantenere uno strumento che in qualche modo ha saputo tenere in piedi la produzione cinematografica italiana tanto da spingere i produttori e i lavoratori del settore a minacciare iniziative di protesta, giungendo a boicottare importanti manifestazioni pubbliche del mondo del cinema come, ad esempio, il festival di Venezia, oppure mutilarlo in modo criminale.
È chiaro che un taglio del 50 per cento al tetto di spesa metterebbe a serio rischio le produzioni e gli investimenti, determinando uno sperpero inaccettabile di talenti, di idee e di grandi eccellenze italiane. Non possiamo certo consentire una cosa simile. Un Governo che, svariate volte, ha affermato che la cultura deve essere posta al centro del rilancio dell’Italia, non può permettersi di varare un provvedimento che brilla solo per ottusità e assenza di lungimiranza. Un Governo che si renda promotore di tale iniziativa, sarebbe colpevole dei licenziamenti che ne deriverebbero e sarebbe responsabile di un impoverimento drammatico della produzione cinematografica e della cultura italiana. Per questa ragione riteniamo che occorra non solo mantenere inalterato il tetto, ma che serva affiancare al tax credit anche altri provvedimenti finalizzati alla defiscalizzazione e all’incentivazione della produzione cinematografica e culturale in generale.
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Visto il LIVELLO MEDIO dei film italiani nonché degli “scemeggiati” italiani mi pare che sia giusto che i finanziamenti dello stato debbano essere dati solo alla produzione degna.