Le fondazioni sono rimaste a metà tra il pubblico ed il privato per via di una riforma errata e mai completata da parte dell’allora ministro Veltroni con legge n. 346 del 1997. Infatti, al contrario di quanto crede l’opinione pubblica, in realtà le vere privatizzazioni in questo Paese sono state fatte dal centrosinistra. Le privatizzazioni anche della scuola con Berlinguer, con D’Alema. Queste sono state trasformate da enti pubblici a fondazioni di diritto privato finanziate in quota parte dal FUS. Ciò non è stato però accompagnato dalle corrette forme di agevolazione per l’ingresso dei privati negli enti lirici, come tax shelter, che perseverano in condizioni economiche devastanti dovute all’alto costo del personale e allo scarso apporto dei privati unitamente ai continui tagli al FUS. Il piano di risanamento è quindi oltremodo rigido nonostante alcune piccolissime conquiste ottenute al Senato e non può in alcun modo aiutare le fondazioni a risollevarsi dalla crisi, introducendo il principio di pareggio di bilancio, da raggiungere in tre anni, e la creazione di un commissario governativo con eccessivi poteri di intervento in merito all’approvazione e all’integrazione dei piani di risanamento stessi.
La disposizione che prevede l’applicazione delle norme del pubblico impiego ai dipendenti delle fondazioni è validissima così come l’assoggettazione alle norme del codice dei contratti. Occorre però una decisione politica importante sulla condizione giuridica degli enti: o sono pubblici o sono privati. Infatti, se è pur vero che la Corte costituzionale, con sentenza n. 153 del 2011, ha ribadito la qualificazione in senso pubblicistico degli enti lirici, nonostante la legge Veltroni, e ha affermato che esse concorrono al conto economico consolidato e figurano nell’elenco delle amministrazioni pubbliche, ci si chiede perché vengono finanziate in maniera irrisoria dallo Stato. Le trattiamo come pubbliche al cento per cento o troviamo le corrette forme per far arrivare ingenti fondi anche dai privati ?
Grave invece è la previsione che il personale licenziato non abbia certezza di essere ricollocato, creando una possibile schiera di disoccupati che ha capacità professionali molto specifiche e particolari.
Difatti le eccedenze previste dai piani di risanamento sono assorbite da ALES Spa, non rispettando principi di prossimità geografica, solo nelle vacanze di organico della società medesima. La riforma della governance non pare incisiva e non tiene conto dei rappresentanti delle categorie lavorative. Sicuramente positivo, però, che finalmente si giunga ad una produzione su base triennale ma, al contempo, ci si domanda se non sia eccessivo prevedere che un’attività come questa sia in pareggio visto che si tratta di un’attività culturale di rilievo. Il ricorso ad entrate di indebitamento è concesso solo nell’accesso ad un fondo rotativo del MiBAC pari a 75 milioni: briciole, visto che i teatri interessati al piano di risanamento con lo scopo di accedere proprio al Fondo rotativo sono, a detta di Bray, almeno sei su quindici.
Non si capisce, ancora una volta, la nomina di un commissario governativo che abbia ampi poteri di incidere sui piani di risanamento a lui proposti. Come al solito viene scelta una modalità errata a monte, per salvare il sistema delle fondazioni liriche, che invece richiede una visione più ampia e un lunghissimo termine, iniziando una seria riforma di governance, di contribuzione privata, di programmazione delle stagioni.
Le colpe della politica in questo disastro economico-finanziario sono abnormi e non possono affatto ricadere sulle spalle dei lavoratori di qualità del settore, tanto meno sulle spalle del settore culturale.
L’emendamento è teso ad impedire il licenziamento del personale delle fondazioni liriche, che rappresenta la forza delle fondazioni stesse ed un livello di professionalità artistica eccezionalmente elevato.
Concludo: licenziare il 50 per cento del personale significherebbe non garantire il lavoro della Fondazione, oltre a lasciare senza introito certo intere famiglie. Ma non era il Partito Democratico che metteva al centro il lavoro in questo Paese?
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A me l’opera lirica piace e sono abbonata alla stagione di un teatro delle Tradizioni. Spendo circa 360,00 euro annui. Per motivi professionali ho avuto l’occasione di esaminare l bilancio di uno di questi, non messo malissimo per la verità, ma analizzando approfonditamente le voci di spesa sono apparse alcune incongruenze. Per farla breve, esaminando i contratti artistici è apparsa evidente una sottostruttura clientelare con cui gli artisti si scambiano favori (e scritture).
Siamo sicuri che in questo paese dobbiamo avere 11 Enti Lirici e 68 teatri lirici della tradizioni pagati dai contribuenti tramite le accise sui carburanti?
Non sarebbe meglio che i “pochi consumatori” appassionati del settore provvedessero a pagarsi il costo intero del biglietto non scaricandolo sulla collettività?