La politica può scegliere le priorità di ogni riforma fiscale. Si può scegliere la crescita e il modello dello sgocciolamento secondo il quale se un Paese cresce è possibile usare le risorse aggiuntive per far sgocciolare soldi ai più poveri e alla classe media. Oppure si può scegliere che l’obiettivo di una riforma fiscale sia dare priorità alla tutela dei beni comuni, allo sviluppo di un’ecologia integrale e a un modello EcoEquoSociale che punti alla riduzione delle disuguaglianze e degli sfruttamenti con una ridistribuzione della ricchezza.
Riguardo alla delega sulla riforma fiscale costruita dal governo Draghi il principale obiettivo della riforma fiscale resta un modello interamente schiacciato sul Pil e sull’aumento di produzione e di trasformazione dell’individuo nel capitalista di sé stesso. Ora ciò che bisogna totalmente evitare è che la nuova riforma del fisco conclami una definitiva scissione tra chi ha una tassazione progressiva e chi invece continua ad avere gli strumenti per surfare tra le imposizioni, evadere ed eludere per pagare meno di tutti gli altri.
Nessuno ha una patente di “attore della crescita” (all’aumento del Pil), tale da essere trattato con privilegi rispetto ad altri, perché sia imprenditori che lavoratori contribuiscono al Pil. Anzi, i lavoratori in questi anni, di decennio in decennio, hanno aumentato il loro fattore di produttività senza avere nessun vantaggio nè in salari, nè in riduzione delle ore o giornate lavorative. L’aumento della produttività è finito solo nelle tasche dei più ricchi e, più in generale, dal 1972 centinaia di articoli scientifici mai smentiti dimostrano che bisogna agire sul limitare la crescita in diversi settori per salvare noi e le future generazioni dalle devastazioni ambientali.
Fino ad ora hanno pagato gli ecosistemi e i più deboli, per questo i primi 8 miliardi della riforma fiscale devono andare a quest’ultimi, compreso partite Iva e piccoli imprenditori che vivono fragilità a causa di una tassazione non equa.